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Paolo Mantegazza, monzese, classe 1831, è uno di quei personaggi incomprensibilmente caduti nel dimenticatoio, uno di quelli che si scoprono solo per caparbietà, per il voler indagare a tutti i costi tra le pieghe della storia. Ma ne vale la pena, perché Mantegazza fu il co-fondatore di quella che chiamò la “scienza degli alimenti nervosi” e che Samorini definisce invece senza troppi giri di parole “scienza delle droghe”, e se è vero che gli studi ai quali si dedicò non sono del tipo che può appassionare il grande pubblico (o almeno credo), dal punto di vista accademico ebbero un peso notevole e meritano pertanto di essere riportati alla luce. In particolare, il suo saggio del 1858 “Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale” fece molto scalpore, identificandolo in seguito come colui “grazie” al quale l'Occidente aveva cominciato a interessarsi alla cocaina (di cui lo stesso Mantegazza divenne un incallito consumatore fino in tarda età), mentre invece il suo interesse era rivolto in generale a tutte le droghe psicotrope nell'ambito di un progetto di ricerca psicofarmacologica ampio e articolato, come dimostrarono le successive pubblicazioni, inclusa “Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze”, vero caposaldo della letteratura sulle droghe oltre che, probabilmente, il suo lavoro più importante.
È probabile che questo suo stretto legame con la cocaina, vista la pessima reputazione che questa droga ha oggigiorno, abbia contribuito non poco a gettarlo nell'oblio in cui è stato relegato nell'ultimo secolo e mezzo. Tuttavia, bisogna considerare che nella definizione di Mantegazza di alimenti nervosi non rientrano solo quelle che noi al giorno d'oggi consideriamo a tutti gli effetti delle droghe, come appunto la cocaina, o l'oppio, l'haschisch e l'ayahuasca, ma anche alcuni alimenti che sono ancora di uso comune: bevande fermentate e distillate (vino, birra, liquori…), alcaloidi (caffè, tè, tabacco…), aromatici (pepe, salvia, menta, origano, aglio, cipolla…). Mantegazza si auspicava per ognuno di essi un uso “alterno e sapiente” che avrebbe prodotto “gioia, salute e forza”. Si può dire che il suo auspicio si sia avverato solo in parte.
Ma è giunto il momento di presentarvi Mantegazza, e per farlo mi affido alla prefazione di un'altra delle sue opere, “Le estasi umane”: Paolo Mantegazza (Monza 31 ottobre 1831 - San Terenzo di Lerici, 28 agosto 1910) ebbe come madre la grande italiana Laura Solera Mantegazza. […] A sedici anni lo troviamo sulle barricate a Milano; a diciannove anni legge all'Istituto Lombardo di Pavia il suo lavoro su la «generazione spontanea». Laureatosi a 23 anni in medicina e chirurgia, pubblica la Fisiologia del Piacere e nello stesso anno parte per l'Argentina per studi. Osservando che gl'indigeni risentivano particolare influenza masticando la Coca (che poi introduce per il primo in Europa), ne studia gli «e'fretti stupefacenti» dovuti al 'suo alcaloide: la Cocaina. Rientra in Italia nel 1858 e viene nominato professore ordinario di patologia all'Università di Pavia, dove fonda il primo Laboratorio di Patologia sperimentale sorto in Europa. Apre così alla patologia nuovi orizzonti; inventa il primo «globulometro», compie i primi esperimenti sugli innesti animali, esperimenti che dovevano avere si forte sviluppo, si occupa dell' innesto e della galvanizzazione del ventricolo, della genesi della fibrina nell'organismo vivente; studia la produzione delle cellule ed anche alla fisiologia traccia nuove mète sostituendo all'aforisma «omnis cellula ex cellula» (Vischou) il suo «omnis cellula ex vita».


Ne “Le estasi umane”, ciò che Mantegazza cerca di fare è innanzitutto stabilire che cos’è l’estasi, che lui esprime con il simbolo matematico di “infinito” (∞) e arriva alla conclusione che non esiste una definizione esatta o scientifica per questo termine (sarà infatti lui a proporre una classificazione dell’estasi in affettiva, estetica e intellettuale): alcuni la identificheranno come la passione amorosa; altri come il picco del sentimento religioso o i rapimenti del poeta, dello scrittore o dello scienziato alle prese con i misteri della vita e della scienza, o dell’appassionato nella contemplazione di opere d'arte o di scene della natura, oppure nell’ascolto della musica; i più come intensa emozione affettiva o come semplice sensazione, elevata al massimo grado, legata al piacere dei sensi (vista, gusto, olfatto, eccetera); e altri, ignoranti e poveri di spirito, non riusciranno nemmeno a immaginarsela.
Ma per Mantegazza l'estasi confina coll'ebbrezza, coll'allucinazione, col piacere, col sonnambulismo, col delirio, con la catalessi; senza essere né l'una né l'altra di tutte queste cose - resta cioè il fatto che possono esistere piaceri intensissimi senza estasi e allo stesso modo l'estasi può essere slegata dal piacere, ma essa è comunque al di sopra di tutte le altre sensazioni, e da questo nasce la definizione di piccole e grandi estasi. Vista la sua formazione accademica a Mantegazza ciò che preme è soprattutto chiarire il processo fisiologico legato alla sensazione estatica o, per dirla con le sue parole, di “segnare l'evoluzione del processo estatico, come Darwin e i darwiniani hanno tentato di fare per le forme dei viventi”. Il riferimento a Darwin non è casuale, perché Mantegazza riconosce anche agli animali la capacità di sperimentare estasi, per quanto “semplicissime, passeggere” – estasi muscolari e vegetative, musicali, estetiche - il che prova che le dissertazioni di Samorini (come lui stesso ammette nel suo libro) hanno almeno un precedente illustre. Le osservazioni sugli animali occupano tutto il terzo capitolo del suo libro. Di fatto però “Le estasi umane” si regge sulla semplice osservazione della realtà, e riporta opinioni e congetture che hanno prevalente natura filosofica. Non mancano riferimenti a studi ed esperimenti su sonno, sonnambulismo e in particolare sull’ipnosi effettuati da famosi studiosi, tuttavia alcuni rapporti di causa-effetto sono difficilmente dimostrabili, e Mantegazza li argomenta senza addurre prove scientifiche. Del resto se è possibile monitorare le fasi del sonno, come dimostrare (ad esempio) l’amor patrio e l'estasi che questo può generare? Se anche fosse fattibile, non credo qualcuno abbia mai avuto l'occasione di farlo. Certamente le sue riflessioni sulle estasi semplici e complesse della fantasia, su quelle provocate dall'arte oratoria, o quelle legate all'amore materno e all'amor filiale, o alla religione o a altri ambiti, sono molto intuitive e condivisibili. Anche l'arte ha esplorato le varie sfaccettature dell'estasi molte volte. Ne riparleremo spesso in seguito, a cominciare dal prossimo articolo.