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Spiral, il sequel apocrifo

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Si chiude oggi lo speciale nato per festeggiare il quinto compleanno del blog. Come da usanza, già ampiamente consolidata negli scorsi anni, questo dovrebbe essere il momento di tirare le somme di tutto ciò che è stato detto e fatto. 
Il problema, se di problema si tratta, è che lo speciale di aprile quest’anno non finisce ad aprile: dopo una breve pausa, “Ghost in the Well” riprenderà la sua corsa, andando a raccontare anche ciò che non è stato sinora incluso negli articoli dedicati alla saga di Ring.
Non sto parlando di una fuggevole coda da inserire qua e là all’interno della normale programmazione, bensì di un altro intero mese totalmente dedicato a Sadako, un personaggio che andremo a (ri)scoprire attraverso gli occhi di registi provenienti dai più disparati paesi del mondo che a loro modo hanno provato a reinterpretarne il mistero. 
Se state pensando che le cose da dire siano quasi terminate, vi basti sapere che, così sue due piedi, mi vengono in mente almeno altri cinque o sei film che ben si adattano a questo speciale. Anzi, ora che ci penso bene sono anche qualcuno di più. 
Tra una recensione e l’altra poi, com’è ormai prassi, è previsto qualche approfondimento, anche se forse meno ovvio, per meglio comprendere le dimensioni dell’Universo Ring. Rimane ancora solo una cosa da fare prima di mettere in pausa questo speciale, vale a dire spendere due parole su Spiral, altrimenti conosciuto con il titolo di Rasen (らせん), un sequel apocrifo uscito nelle sale immediatamente dopo il primo Ring di Hideo Nakata.
Qualche giorno fa abbiamo detto che Ring, nel senso di “anello”, può rappresentare l’idea della catena, quel vecchio modo di propagare un messaggio che induce il destinatario a divenirne a sua volta il nuovo mittente. Abbiamo anche detto che, allo stesso modo, Ring può essere lo squillo di un telefono oppure quel cerchio a cui il cielo si riduce se osservato dal fondo di un pozzo.
Ideologicamente, l'anello può rappresentare quella spirale di violenza e morte innescata dai persecutori di Sadako e che lei a sua volta cerca di perpetrare in eterno, in un parossismo di vendetta che finisce (un po' come nei migliori Rape and Revenge) per superare in malvagità perfino l'offesa ricevuta. Ma la forma di un anello può anche essere ravvisata nella cornice dello specchio dove si rifletteva Shizuko e perfino nell’occhio di Sadako, che a sua volta rappresenta un'icona decisamente evocativa all’interno di questa serie. Sull'immagine di Shikuzo che si pettina i capelli davanti allo specchio ritorneremo in un secondo tempo, perché Nakata nel modellarla sembra proprio essersi ispirato a un'altra famosa figura, una delle più famose del folclore giapponese: Oiwa.
Per riallacciarmi invece all’ultimo paragrafo del post precedente, la forma circolare di un anello, dal punto di vista simbolico, può essere anche estesa ai vari cicli della vita e della morte, concetto tipico della maggior parte delle religioni asiatiche. Oggi però noi non ci limiteremo all’anello: oggi faremo un passo in avanti e andremo a scoprire la spirale che, dell’anello, rappresenta un’estensione letterale e figurata. 

Dopo i primi due capitoli di Ring, e specialmente dopo i remake americani, il franchise era ormai destinato a entrare di diritto nella storia del cinema horror mondiale, in generale, e giapponese in particolare. Quello che non tutti sanno è che il già discusso sequel che Hideo Nakata girò nel 1999 non fu il primo tentativo di dare un seguito alla vicenda di Sadako. A poche settimane di distanza dal primo Ring, infatti, venne alla luce Spiral, anch’esso realizzato adattando per il cinema un romanzo (ovviamente omonimo) di Kōji Suzuki. Il risultato finale fu talmente controverso che, come già accennavo qualche giorno fa, l’esperimento “Spiral” fu ben presto archiviato e dimenticato, lasciando a Nakata il merito di aver girato l’unico vero sequel del suo stesso Ring. 
All’inizio non ero sicuro di dove fosse più opportuno inserire questo capitolo anomalo all’interno di questo speciale “Ghost in the well”. Anzi, devo ammettere che per un attimo sono stato tentato di non inserirlo affatto, ma alla fine la mia coscienza mi ha imposto di scriverne, sebbene ciò che segue non sarà quasi certamente apprezzato dai fan più accaniti della serie. 
Entrambi i sequel iniziano dal punto in cui termina il primo Ring: Ryuji Takayamaè rimasto vittima della maledizione di Sadako, mentre Reiko Asakawaè data per dispersa. Anche per questo motivo, Ring 2 e Spiral condividono grossomodo lo stesso cast, particolare curioso che dona a Spiral, se non altro, quel briciolo di interesse dovuto alla curiosità di rivedere i volti dei personaggi più amati dai fan del primo capitolo. 
Il personaggio attorno a cui ruota la vicenda è ancora una volta Mai Takano (sempre interpretata dalla popstar Miki Nakatani), con la sola ma tutt’altro che sottile differenza che, mentre nel film di Nakata quest’ultima palesa solo una cotta (che pare non ricambiata) per Takayama, in Spiral appare subito evidente che i due avevano vissuto una relazione piuttosto intima. Le analogie tutto sommato finiscono qui: nella narrazione le cose divergono su due universi paralleli, percorsi diversi che li portano a destinazioni completamente diverse. Il percorso di Spiral, per dovere di cronaca, è decisamente molto più vicino a quello che era nella mente di Kōji Suzuki e quindi è molto più aderente al romanzo; il remake di Nakata, al contrario, è molto più fedele al primo adattamento da lui stesso firmato e ciò, di conseguenza, fece in modo che quest’ultimo fosse preferito da chi si era appassionato alle vicende viste sul grande schermo.

Il punto, se vogliamo, è proprio questo: Hideo Nakata, partendo da un romanzo senza infamia e senza lode (stavo per scrivere dozzinale, ma mi sono trattenuto), era riuscito a realizzare un lavoro talmente ben fatto che qualsiasi tentativo di uscire dai suoi binari sarebbe stato destinato al fallimento, benché in fondo il secondo film da lui firmato lasci parecchie perplessità in merito al suo sviluppo e generi, alla fine, più domande di quelle alle quali si premura di rispondere. 
Va sottolineato che Nakata, più che adattare la trama del romanzo, in gran parte la riscrisse, prelevandone gli spunti più interessanti e scartando tutto ciò che secondo il suo punto di vista non aveva ragione di esistere. Quando invece il regista Jōji Iida iniziò a mettere mano alla sua personalissima versione di Ring decise di affidarsi completamente al lavoro di Suzuki, ignorando che la scelta del concorrente, a posteriori, sarebbe risultata quella vincente (Spiral e il primo Ring, lo ricordo, furono girati a poche settimane di distanza).

Ad ogni modo, eravamo rimasti a Ryuji Takayama, l'ex marito di Reiko, che aveva perso la vita a causa della maledizione di Sadako in quella che a posteriori ricordiamo come una delle scene più memorabili dell’intero franchise. Questo Spiral inizia con il dottor Mitsuo Ando, un amico di vecchia data di Ryuji, chiamato a eseguire l'autopsia sullo stesso Ryuji. Nel corso dell’autopsia Ando ritrova nello stomaco dell’amico un foglietto di carta sul quale sono indicati dei numeri che, come scopriremo nel corso del film, suggeriranno al medico che la soluzione del mistero è da ricercarsi nella genetica, ovvero nella scienza che studia i meccanismi dell'ereditarietà, grazie i quali le caratteristiche di un individuo si trasmettono a un altro. 
Mi sembra quindi evidente che il titolo del film (e del romanzo) sia un chiaro riferimento alla struttura a doppia elica del DNA. Senza entrare troppo nel dettaglio, la videocassetta cessa improvvisamente di essere importante. Gli stessi avvenimenti che avevano portato Sadako a trovare la morte in fondo al pozzo cessano di essere importanti. Praticamente tutto ciò che era stato il primo Ring viene cancellato drasticamente per lasciare spazio a qualcosa di completamente diverso. In Spiral tutto gira attorno al DNA di Sadako, in grado di riprodursi e trasmettersi esternamente, alterando quello delle sue vittime. Su questo elemento si sviluppa una nuova trama che mette da parte i toni horror, o quasi, per andare invece a esplorare una dimensione che pare più uno sci-fi apocalittico che altro. Lo scopo di Sadako è ora quello di generare mille-mila cloni di se stessa e, come un virus, invadere il mondo attraverso un'apocalisse che spazzerà via la maggior parte della popolazione, lasciando il mondo in eredità a una nuova razza di umani dominati dall’odio.

Il problema di Spiral non è nella trama di per sé, ma nel suo sviluppo. Le idee di Suzuki, se pure scientificamente azzardate, avevano del potenziale, e difatti le vicende del romanzo si basano su precisi legami di causa ed effetto; i personaggi di Suzuki, nell’ambito di una storia che comunque richiede una buona dose di sospensione dell’incredulità, agiscono in modo logico e coerente, ma il più interessante si rivela essere proprio Sadako, non più spirito accecato da un terribile rancore e perciò, per definizione, completamente irrazionale, ma creatura senziente e implacabile che attende nell’ombra, pianifica, esegue la sua vendetta. 
Nell’adattamento di Jōji Iida gli avvenimenti vengono un po’ variati ma, quel che è peggio, la sceneggiatura di Spiral è ridotta all’osso, con buchi logici che minano la comprensione di una storia già di per sé complessa e personaggi sviscerati in modo poco convincente (soprattutto Mai che, dopo un inizio promettente, si rivela poco più di una figura di contorno). Perché naturalmente Sadako non può fare tutto da sola, ma ha bisogno di complici, ignari o consapevoli che siano. Ed ecco quindi un risorto Ryuji Takayama, generato a sorpresa da un qualche pasticcio genetico, schierarsi al suo fianco. Ecco anche il dottor Ando, primo “portatore sano” del virus stesso, diventare connivente. Se le motivazioni di quest’ultimo, nel suo ritrovato ruolo di genitore, sono tutto sommato comprensibili (lo vediamo perdere il figlio all’inizio del film e ritrovarlo, grazie alla clonazione, nel finale), perché mai Ryuji Takayama, originale o doppio che sia, debba rivelarsi un complice di Sadako non è ci dato capire, tanto più che la sua ricomparsa è evidentemente stata pianificata prima ancora della sua morte. Come può un uomo tradire in questo modo i suoi principi e la sua stessa famiglia? Forse a un certo punto Ryuji si è convertito al lato oscuro della forza, così come fece Anakin Skywalker in tutt’altra saga cinematografica? 
Su questa e altre domande conviene stendere un velo pietoso, così come occorre stendere un velo pietoso su quella Sadako risorta che, più che un fantasma della tradizione giapponese, sembra Anna Oxa in versione anni Settanta. In chiusura di questa triste parentesi che è stata “Spiral”, ciò che posso consigliarvi è di dimenticarvene al più presto. Tenete invece a mente l’ipotesi genetica, perché l’occasione che il regista Jōji Iida ha buttato tragicamente nel cesso verrà sfruttata decisamente meglio da qualcun altro. E vi garantisco che l’asticella del terrore si alzerà di parecchio. Ma di questo parleremo ovviamente un’altra volta, perché da oggi lo speciale “Ghost in the well”, come sapete, se va in vacanza. Il blog invece continua e, già nei prossimi giorni, riprenderà la sua normale programmazione. 

Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 14 in un totale di 100Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte dello Speciale Ghost in the Well che è iniziato il primo del mese. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 14° candela...

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